Disney: il politically correct non vende più

Commercializzare il politically correct non sempre si traduce in un successo economico. Forse questo è ciò che ha appreso la Disney a proposito del live action di Biancaneve, un film nato già sotto il segno delle polemiche, in quanto era stato criticato per tantissime questioni politiche più che artistiche.

Dalla scelta di Rachel Zegler, l'attrice che interpreta Biancaneve, di origini colombiane, alla decisione di modificare la trama originale in una chiave woke. Molti spettatori hanno lamentato che i cambiamenti apportati alla storia, incluse le canzoni reinventate e la caratterizzazione dei personaggi, hanno snaturato l'essenza stessa del racconto originale.

Inoltre, le polemiche legate alle dichiarazioni delle attrici principali e le critiche sulla rappresentazione e inclusione, hanno contribuito a creare un clima di tensione attorno al film. 

Visivamente, il film presenta una produzione di alta qualità, con scenografie e costumi che catturano l'immaginazione. Tuttavia, la bellezza visiva non riesce a compensare le debolezze della trama e la carenza di coerenza narrativa. La mancanza di un vero sviluppo dei personaggi rende difficile per il pubblico connettersi emotivamente con la storia.

Eppure questa pellicola, diretta da Marc Webb, aveva grandi ambizioni. Difatti, il film costato ben 270 milioni, e non arriverà nemmeno a pareggiare le spese. Una delusione, non solo per la Disney, ma soprattutto per gli spettatori che non hanno gradito gli eccessivi cambiamenti della trama rispetto alla storia originale del 1937. Un classico Disney rovinato insomma, un disastro che ha portato allo stop ad un altro film, che già era in produzione, cioè Rapunzel, un live action ispirato al medesimo cartone casa Disney. Una cancellazione che ci porta a pensare che la fortuna di questi live action rivisitati, è finita, ma soprattutto che non sono più apprezzati dal pubblico come prima.

Biancaneve è la prova di ciò. Canzoni modificate e reinventate, ed una trama completamente alterata. Eppure, c'è chi dice che questo film fallimentare sia stato vittima di una guerra culturale tra fazioni politiche.

A completare questa situazione di delirio, anche la Federal Communication Commission ha attaccato la Disney in merito a quali criteri utilizza nella scelta dei suoi "cast" e se sta attuando sotto mentite spoglie forme di discriminazione DEI (diversità, equità ed inclusione).

È possibile che il pubblico stia iniziando a stancarsi di questi remake, sequel e prequel. Dove sono finite le idee originali e le storie straordinarie che hanno reso la Disney un colosso dell'intrattenimento? Dov'è finita la voglia di raccontare cose nuove? È vero che attingere a storie già conosciute può ridurre il rischio di flop, ma c'è anche bisogno di un po' più di coraggio.

In particolare, ci si aspetta che una multinazionale come la Disney, storicamente nota per la sua capacità di creare narrazioni innovative, torni a investire in film originali e artigianali. Il pubblico desidera opere che siano artistiche piuttosto che politiche. Desidera emozionarsi come attraverso gli occhi trasognanti di un bambino che guarda per la prima volta una loro pellicola, ritornare per un attimo a sognare insomma.

Forse, il vento sta cambiando...

 

 

Giovanni Lombardo

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